Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno confermato, con la sentenza n. 20160 del 24 settembre 2010 il provvedimento disciplinare della censura irrogato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, e confermato dal Consiglio Nazionale Forense, ad un avvocato che in pubblico, nella specie nella cancelleria del Tribunale, si è rivolto ad una collega pronunciando un’espressione certamente colorita e licenziosa ma a suo dire mal interpreta e travisata non solo dalla collega ma dallo stesso Consiglio dell’Ordine prima e dal Consiglio Nazionale Forense, poi. In particolare, l’avvocato si è rivolto alla collega con l’espressione “scusa collega ti dovrei togliere quel coso che ti ho lasciato prima in mezzo alle gambe” riferendosi alla propria borsa casualmente finita tra i piedi della collega. La Suprema Corte ribadendo il principio secondo cui l’accertamento di fatto operato dall’organo disciplinare non può costituire oggetto di revisione da parte del Giudice di legittimità, ha offerto l’occasione per una riflessione sul particolare decoro che la legge professionale (e la stessa buona educazione) impone alla figura dell’avvocato nel suo relazionarsi necessariamente oggetto della propria massima attenzione oltreché serietà.
Corte di Cassazione – Sezioni Unite – sentenza 24 settembre 2010 n. 20160 – Presidente Carbone