Venerdì 29 gennaio 2016
La mera negligenza giustifica il licenziamento per giusta causa del dirigente.
A cura dell'Avv. Carlo Antonio Esposito
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione (Pres. Venuti - Est. Tria), con la sentenza n. 24941, pubblicata il 10 dicembre 2015, ha ribadito il principio che, con riferimento al licenziamento dei dirigenti, il rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro è particolarmente stretto in ragione delle mansioni affidate e, quindi, è suscettibile di essere leso - specialmente per i dirigenti al vertice dell'organigramma aziendale - anche dalla mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o da una importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro con ciò espressamente affermando l'insussistenza di una piena coincidenza tra le ragioni di licenziamento di un dirigente e di un licenziamento disciplinare (a fronte della lamentata severità della sanzione del licenziamento rispetto alla condotta soltanto colposa del dirigente) siccome derivante dalla peculiare posizione apicale del dirigente e del relativo vincolo fiduciario che, dunque, può portare al recesso anche se il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, ovvero se, a base del recesso, siano poste condotte comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti.
La Suprema Corte, inoltre, dopo di aver ribadito la natura "elastica" delle nozioni legislative di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo (l'uno con l'effetto del licenziamento immediato l'altro con l'obbligo del preavviso), da cui deriva che l'accertamento in concreto della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi che caratterizzano tali due diverse situazioni è demandato al giudice del merito, soggetto, tuttavia, al controllo in sede di legittimità atteso che nell'emanare il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che si limita, quindi, ad esprimere un parametro generale) il giudice del merito compie un'attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale delle norme, esprime l'ulteriore principio secondo cui, posto che sia la giusta causa sia il giustificato motivo soggettivo del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, ciò che rileva, ai fini della qualificazione del recesso, non è tanto il giudizio attribuito dal datore di lavoro alla gravità dei fatti posti a fondamento della sua volontà di risolvere il rapporto con il lavoratore inadempiente quanto l'apprezzamento del giudice del merito circa la legittimità e congruità della sanzione applicata.
La Corte di Cassazione ha, pertanto, confermato, nella specie, come esatta la qualificazione del recesso attribuita dal datore di lavoro come recesso per giusta causa (con conseguente efficacia immediata della cessazione del rapporto di lavoro) riconoscendo la negligente condotta del dirigente (sostanzialmente di omesso controllo) come idonea a minare il rapporto fiduciario in rapporto alla peculiarità delle prestazioni professionali espletate (direttore amministrativo di ente previdenziale).
Sentenza della Corte di Cassazione 10 dicembre 2015 n. 24941
La Suprema Corte, inoltre, dopo di aver ribadito la natura "elastica" delle nozioni legislative di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo (l'uno con l'effetto del licenziamento immediato l'altro con l'obbligo del preavviso), da cui deriva che l'accertamento in concreto della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi che caratterizzano tali due diverse situazioni è demandato al giudice del merito, soggetto, tuttavia, al controllo in sede di legittimità atteso che nell'emanare il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che si limita, quindi, ad esprimere un parametro generale) il giudice del merito compie un'attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale delle norme, esprime l'ulteriore principio secondo cui, posto che sia la giusta causa sia il giustificato motivo soggettivo del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, ciò che rileva, ai fini della qualificazione del recesso, non è tanto il giudizio attribuito dal datore di lavoro alla gravità dei fatti posti a fondamento della sua volontà di risolvere il rapporto con il lavoratore inadempiente quanto l'apprezzamento del giudice del merito circa la legittimità e congruità della sanzione applicata.
La Corte di Cassazione ha, pertanto, confermato, nella specie, come esatta la qualificazione del recesso attribuita dal datore di lavoro come recesso per giusta causa (con conseguente efficacia immediata della cessazione del rapporto di lavoro) riconoscendo la negligente condotta del dirigente (sostanzialmente di omesso controllo) come idonea a minare il rapporto fiduciario in rapporto alla peculiarità delle prestazioni professionali espletate (direttore amministrativo di ente previdenziale).
Sentenza della Corte di Cassazione 10 dicembre 2015 n. 24941