Venerdì 15 gennaio 2016
Il criterio della immediatezza della contestazione disciplinare va inteso in senso relativo.
A cura dell'Avv. Carlo Antonio Esposito
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione (Pres. Venuti - Est. Tricomi), con la sentenza n. 281, pubblicata il 12 gennaio 2016, ha ribadito il principio, già affermato dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui il criterio della immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore in materia di licenziamento va inteso in senso relativo.
Richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l'immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l'interesse del datore di lavoro all'acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest'ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l'esercizio del potere disciplinare e la sanzione irrogata è invalida (tanto, pur in pendenza di un eventuale procedimento penale a carico del lavoratore medesimo che non impedisce la contestazione immediata e l'eventuale sospensione del procedimento disciplinare), la Suprema Corte ha precisato che ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l'esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto al lavoratore stesso (seppur nelle sue linee essenziali), la cui prova è a carico del datore di lavoro. Ciò, precisa la Corte, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l'autonomia tra i due procedimenti (penale e disciplinare) ma anche la circostanza che l'eventuale accertamento dell'irrilevanza penale del fatto contestato non determina di per sé l'assenza di analogo disvalore in sede disciplinare (come nel caso specifico sotteso all'esame della Corte).
Pertanto, conclude il giudice di legittimità, se il principio della immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del lavoratore (dato il carattere facoltativo del potere sanzionatorio disciplinare del datore il cui esplicarsi deve conformarsi ai canoni di buona fede) sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, esso deve essere, comunque, inteso in senso relativo dovendosi tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l'espletamento delle indagini dirette all'accertamento dei fatti, la complessità dell'organizzazione aziendale e la valutazione delle ragioni stesse del ritardo compiuta dal giudice di merito che, ove sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici, risulterà insindacabile in sede di legittimità.
Vai alla sentenza della Corte di Cassazione del 12 gennaio 2016 n. 281
Richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l'immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l'interesse del datore di lavoro all'acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest'ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l'esercizio del potere disciplinare e la sanzione irrogata è invalida (tanto, pur in pendenza di un eventuale procedimento penale a carico del lavoratore medesimo che non impedisce la contestazione immediata e l'eventuale sospensione del procedimento disciplinare), la Suprema Corte ha precisato che ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l'esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto al lavoratore stesso (seppur nelle sue linee essenziali), la cui prova è a carico del datore di lavoro. Ciò, precisa la Corte, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l'autonomia tra i due procedimenti (penale e disciplinare) ma anche la circostanza che l'eventuale accertamento dell'irrilevanza penale del fatto contestato non determina di per sé l'assenza di analogo disvalore in sede disciplinare (come nel caso specifico sotteso all'esame della Corte).
Pertanto, conclude il giudice di legittimità, se il principio della immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del lavoratore (dato il carattere facoltativo del potere sanzionatorio disciplinare del datore il cui esplicarsi deve conformarsi ai canoni di buona fede) sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, esso deve essere, comunque, inteso in senso relativo dovendosi tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l'espletamento delle indagini dirette all'accertamento dei fatti, la complessità dell'organizzazione aziendale e la valutazione delle ragioni stesse del ritardo compiuta dal giudice di merito che, ove sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici, risulterà insindacabile in sede di legittimità.
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