LA RESPONSABILITA' DELL'AVVOCATO: UN COMPLICATO GIUDIZIO PROBABILISTICO.

Martedì 24 marzo 2020

La responsabilità dell'avvocato: un complicato giudizio probabilistico. 


Con l’ordinanza n. 1169, depositata il 21.01.2020 (III Sezione Civile, Pres. Travaglino, Rel. Giaime Guizzi), la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi e a precisare gli elementi essenziali per l’accertamento della responsabilità dell’avvocato. In particolare, nella causa oggetto della decisione, veniva lamentato un comportamento omissivo del legale patrocinante e cioè la mancata richiesta di decadenza della prova per testi e la mancata opposizione alle innumerevoli richieste di rinvio della controparte. A seguito della soccombenza nel giudizio l’ex cliente dell’avvocato lo citava per la richiesta del risarcimento danni per le condotte reputate omissive ritenute fondamentali per la conclusione funesta della causa. 

L’attività dell’avvocato, come è noto, è un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera intellettuale per cercare di raggiungere il risultato richiesto e sperato dal cliente, ma non a conseguirlo, e ciò per gli innumerevoli fattori, sfumature e interpretazioni che le cause legali possono incontrare. Infatti, la stessa opera del Giudice s’incentra, su molte questioni fondamentali per la decisione, sul libero convincimento come, ad esempio, sulle prove testimoniali. Se un legale sceglie di percorrere una determinata strategia processuale, questa non può essere fonte di responsabilità solo per il mancato risultato sperato. La responsabilità può desumersi solo ove si dimostri che quella scelta sia in contrasto con disposizioni di legge, ovvero risolva in modo errato questioni giuridiche non opinabili. Quindi, la responsabilità presuppone la violazione di uno specifico dovere di diligenza media esigibile ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c.. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza, ben fissato dall’articolo citato.

Non solo, a norma dell’art. 2236 c.c. se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera intellettuale risponde dei danni solo in caso di dolo e colpa grave. Dal combinato disposto degli artt. 1176 e 2236 c.c. ne deriva la necessità di una ricerca nell’attività svolta dal professionista non solo di una eventuale colpa grave, o del dolo, ma di un accertamento di tipo probabilistico sui risultati che si sarebbero potuti ottenere e che non si sono ottenuti per la condotta del professionista.

La responsabilità dell'avvocato "non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (Cass. Civ., III Sez., sent. 5 febbraio 2013, n. 2638).

Tale valutazione sarà effettuata sulla base del canone della preponderanza dell’evidenza o del c.d. «più probabile che non», principio che si applicherà non solo all’accertamento del nesso di casualità fra la condotta o l’omissione e l’evento dannoso, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di un evento che non si è verificato, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere una diversa attività professionale (tra le più recenti, Cass. Civ., III Sez., sent. 24 ottobre 2017, n. 25112). Tale giudizio sarà effettuato dal Giudice di merito e avrà come oggetto anche l’eventuale vantaggio che si sarebbe potuto ottenere.

Nel giudizio oggetto del ricorso che ha portato all’ordinanza n. 1169/2020, la mancata contestazione da parte dell’avvocato della prova testimoniale non ha in alcun modo condizionato il risultato, e neppure la mancata escussione dei testi avrebbe portato ad un giudizio differente, quindi alcuna responsabilità si è desunta in capo al procuratore, il quale ha semplicemente scelto una determinata strategia difensiva non soggetta a doglianze legalmente apprezzabili.

Le cause legali essendo ricche di sfumature ed interpretazioni e basate sul convincimento del giudice sono soggette ad estrema incertezza circa il risultato. Le strategie o i comportamenti del procuratore non sono di per sé causa di responsabilità solo per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente. Questa deve desumersi sulla totale erroneità dell’azione perpetrata e sulla certezza del risultato sperato in caso di una differente azione, certezza che paradossalmente, si otterrà sulla base di un giudizio prognostico.

Vai all'ordinanza della Corte di Cassazione 21.01.2020 n. 1169.